Più donne nei Cda e l’Italia cresce

| 1 luglio 2013 | 1 Commento

Più donne nei Cda e l’Italia cresce

Pubblichiamo l’appello lanciato da varie associazioni femminili che si battono per l’applicazione della legge 120 de 12 luglio 2011 che prevede una maggiore rappresentazione di donne nei Consigli di amministrazione Nell’estate del 2011 il nostro paese approvava la legge 12 luglio 2011 n. 120 che obbliga i Consigli di Amministrazione e di controllo delle società quotate in Borsa e delle società pubbliche ad includere almeno il 20% di donne per il primo mandato dalla applicazione della legge e almeno il 33% dal secondo rinnovo di cda in poi. Su quella stessa legge i pareri sono stati molto discordanti: c’è chi l’ha accolta come un passo in avanti e chi invece ha ritenuto che fosse perfino dannosa ai fini di una reale emancipazione femminile.
Comunque la si pensi, la legge oggi c’è e deve essere applicata. Soprattutto si deve vigilare affinché venga attuata seguendo principi trasparenti e non servendosi delle stesse logiche di cooptazione che guidano da sempre nomine di qualsiasi sorta in Italia. La legge ha toccato per prime alcune importanti aziende private che si sono rapidamente adeguate, alcune anche in anticipo rispetto alla entrata in vigore della legge stessa. Ora tocca alle aziende pubbliche e in particolare alla scelta del Governo e del Ministero dell’Economia.
In ballo vi sono nomine importanti in settori chiave per lo sviluppo economico del nostro Paese. Si dovrà procedere al rinnovo del cda di Ferrovie dello Stato, Invitalia, Sogesid, Sogin e di due membri del cda Finmeccanica. Inoltre dovranno essere nominati diversi collegi sindacali di aziende come Enel, Anas, Rai, Cassa depositi e Prestiti. Il prossimo anno il rinnovo dei consigli di amministrazione spetterà a Finmeccanica, Poste, Eni ed Enel. In caso di mancato adeguamento a quanto la legge sulle quote di genere nei Cda impone, sarà lo stesso vice ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, con delega alle Pari Opportunità, a vigilare e sanzionare. Ma l’applicazione letterale della legge, con una presenza obbligata al 20% di donne (per questo primo rinnovo), non può bastare. Occorre dare corso a una vera operazione di “trasparenza” e “merito” che riguardi indistintamente uomini e donne. Abbiamo bisogno di donne e uomini capaci e, se è vero che il merito è equamente ripartito tra i due sessi e anzi, le performances accademiche e professionali delle donne sono spesso superiori a quelle maschili, potremmo anche ritrovarci a superare la soglia del 33% che sarà applicata nei prossimi anni.
Inoltre non esistono solo le cariche da ricoprire nei consigli di amministrazione: esistono ruoli che vorremmo non fossero preclusi alle donne, come le cariche di Presidente e di Amministratore delegato. Sarebbe più che naturale, dato che di donne capaci l’Italia ne è ricca.
Inoltre potrebbe essere una occasione per rimetterci in marcia con il resto d’Europa non per l’obbligatorietà di una quota. Applichiamo la legge superandola di slancio. Facendo divenire quel 33% davvero il minimo sindacale.
La selezione dei talenti femminili non dovrebbe essere complicata (così come per quelli maschili). Può essere attivato un processo di selezione trasparente, con candidature e curricula pubblici. Sono già stati formulati elenchi di donne con curricula importanti e adatti per nomine in consigli di amministrazione di aziende prestigiose. Delle vere e proprie banche del sapere femminile, raccolte grazie al lavoro di associazioni come la Professional Women’s Association (Ready for Board Women). Ve ne è anche una di respiro europeo richiesta e stilata per volontà della Commissaria Viviane Reding. Il Governo ha una prima buona occasione per dare corso a una nuova stagione per la vita produttiva, economica e sociale di questo Paese.
Partendo dalle donne, per anni costrette a farsi da parte e oggi più che mai necessarie al rilancio dell’Italia.
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