Pubblicità con qualche gluteo in meno e qualche idea in più
da Il Corriere della Sera on line Link
di Luisa Pronzato
Forse è davvero finita. Non avranno più le nostre tette. Forse vedremo meno glutei sui muri. Avete idea di quanto sia molesta la pubblicità cretina? Se ne sono persino accorte le aziende. Quelle devono vendere. Le vedete a far affari con occhieggianti bamboline di plastica? Alcune aziende nei diversi settori hanno capito che non possono più cavarsela con due cosce e un labbrone invitante. E hanno aderito al manifesto per l’utilizzo responsabile dell’immagine femminile. Una ventina ha firmato. Dieci stanno firmando. Visto che non si tratta di negozietti da quattro soldi, si spera che con il tempo (fate presto per favore) finiscano per contagiarne altre. E poi altre ancora. In pratica si sono impegnate a mettere qualche idea in più nelle immagini e nei “concetti” che scelgono per comunicare con noi cittadini-compratori. Il manifesto lo ha lanciato a Milano, l’associazione pari o dispare. Dispare, sì. Come dice Cristina Molinari, la presidente, noi nasciamo pari e cresciamo dispare. Ancora oggi.
Non si tratta di mettere i mutandoni alle Veneri. Figuriamoci. Apprezzo le idee creative. Mi disturbano però gli stereotipi, anche quando arrivano dalla pubblicità che li ha nel Dna. E proprio per quello, a volte, li sa usare per raccontare e divertirci. Finora con le nostre forme hanno fatto il contrario. Le nostre? Di quelle quattro che rappresentano l’ideale di perfezione. Inumana ma perfezione.
La premessa del manifesto è appunto che non se ne può più della banalizzazione, che l’occhieggiare bellezza e disponibilità al maschio in tutte le salse è solo uno stereotipo di sensualità e di donna. Che siamo anche altro. Torniamo agli stereotipi. Dicevamo, sono così invadenti da sembrare la norma. Così normale che finiamo per non accorgercene. Date un occhio a questi video per capire se pure voi non ve ne eravate accorte. La Réclame è un progetto video in formato web series (una decina per il momento) di Non chiederci la parola (associazione di creatività al femminile fondata da Cristina Tagliabue, se cliccate trovate pure me). Ogni video recensisce, sminuzzandole con il veleno della satira, spot e campagne pubblicitarie (segnalate da frequentatori e frequentatrici di internet, da associazioni e dal passaparola). Puntano il dito sui meccanismi che sottendono all’utilizzo grottesco e fuori luogo della figura femminile, mostrando dove vanno a parare. Nel finalino, il dito cade sui “creativi” (nome e cognome) che le hanno ideate, spendendoci poca creatività, niente innovazione. O se volete, accontentandosi di un vecchio trucco (anni ’80) delle scuole di pubblicità: «Se non avete idee, mettete una donna o un bambino». A mettere freno sui bambini ci ha pensato qualche legge.
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