Se non facciamo squadra siamo perse
“Se non facciamo squadra siamo perse”
L’Opinione - 14 novembre 2010
di Dimitri Buffa
“In un mondo che usa regole declinate al maschile noi donne dobbiamo imparare a far squadra insieme oppure non se ne esce”. Parola di Emma Bonino, l’unica donna in Italia a essere mai stata candidata alla Presidenza della Repubblica, sia pure come outsider e senza speranze di farcela (grazie alla partitocrazia) nel 1999. Oggi è vicepresidente del Senato dopo essere stata Commissario europeo alla cooperazione e alla pesca nel 1994 su designazione del primo governo Berlusconi e dopo essere stata Ministro al Commercio estero nel Governo Prodi del 2008.
Che cosa vuol dire per una donna fare politica e in specie nel nostro Paese?
Significa, molto più che per un uomo, mettersi in gioco completamente dovendo confrontarsi con regole maschili. Gli uomini riescono ad auto conservare il proprio potere, poiché hanno imparato a dividerselo, le donne invece, essendo poche e cooptate, spesso se lo litigano, non riescono a farsi spazio, attendono ancora la manna dal cielo. Ma la cooptazione, senza moralismi di sorta, comporta l’accettazione in toto di quelle regole non meritocratiche che si dovrebbe invece contribuire ad abbattere. Ma questo vale in tutti i settori: moltissime donne in università: al posto di comando 2 o 3. Moltissime donne in banca: al timone? 1 o 2. E vogliamo parlare dei quotidiani politici o tv? Al posto di direzione: 3
Il “potere” è uomo o donna?
In italia: uomo. All’estero è anche donna. Per via di una cultura e di regole declinate secondo “gusti” totalmente maschili, che piano piano hanno invaso anche noi donne. In tutto questo certamente ha inciso anche una certa cultura ”familista” e tradizionale che ha prima osteggiato il progresso nel campo dei diritti civili delle donne e oggi, in modi più striscianti, cerca di reimpostare una visione della società “famiglia tradizionale centrica” in cui le donne sostanzialmente devono prima occuparsi della casa e della prole degli anziani e poi se avanza tempo “possono” lavorare.
Una donna in Italia potrà mai diventare premier?
Per ora mala tempora currunt. Comunque vada a finire il beautiful politico istituzionale degli ultimi mesi, elezioni sì elezioni no, una cosa è certa: mentre in Brasile eleggono una donna, noi avremo un’altra tornata elettorale senza candidature premier al femminile. Negli altri paesi europei qualcuna ci ha provato e alcune ci sono già riuscite. Da noi, tranne il mio tentativo dell’Emma for President del ’99, non c’è stato più nulla. Calma piatta. I partiti non rischiano e si auto conservano (e anche il latte a lunga conservazione prima o poi inacidisce), e le donne non osano. Anche se non dispero che qualcosa possa muoversi. Se almeno tornassimo a scendere più spesso in piazza e a non indignarci o mugugnare solo su facebook, non sarebbe male. Ci stiamo provando con una associazione, Pari o Dispare. Ma è un lavoro lento e certosino. Siamo in una tale situazione emergenziale in Italia sul fronte donne, lavoro e leadership, che non bisogna lasciare nulla di intentato.
Sono mai esistiti problemi “femministi” o di “paternalismo politico” all’interno del Partito radicale?
Anche i radicali sono immersi nello stesso humus culturale di tutti gli altri e nessuno è senza peccato. La differenza tra noi e gli altri però è che i radicali si sono sempre imposti di correggere e superare certe “tentazioni”, spesso con vere e proprie “imposizioni”, con scelte politiche appunto “radicali”: tutte donne capolista nel 76, tre donne alla guida di Radicali , Adelaide Aglietta prima donna segretaria di partito, 3 donne alla guida di radicali italiani recentemente . E non è che tutti fossero sempre contenti, ma la storia radicale ha sempre saputo resistere anche a quello che altrove diventa perversamente naturale. Quello di imporsi certe scelte, è un esercizio che va praticato continuamente, ovviamente potendo contare su compagne che non si lasciano cooptare ma che meritano e se la giocano sul terreno del merito.
Per anni vi hanno impiccato a Cicciolina..ma con il senno di poi la sua elezione in Parlamento è stata veramente così un cattivo investimento politico?
Secondo me no, anche se all’epoca fece scalpore. Dimostra la liberalità del movimento radicale che è aperto a tutti e tutte. Come del resto i nostri congressi sono aperti a chiunque sia iscritto. E forse era una provocazione necessaria in un periodo di perbenismo politico e ipocrisia che ricorda molto quello attuale.
Veline, escort, donne manager, maschilismo, femminismo..le donne in Italia sono davvero legate agli stereotipi o è l’uomo che ce le confina?
Tutte e due. Le regole sono maschili e non è facile, ma anche le donne si prestano e potrebbero non farlo. Soprattutto occorrerebbe ragionare su cosa abbiamo cercato di conquistare e incardinare negli anni ’70 e cosa rischiamo invece di lasciare alle nuove generazioni di donne e uomini…e se davvero una società così ci piace, ci rappresenta e può competere con il resto del mondo… un resto del mondo, specie occidentale, che ci guarda in modo sempre più perplesso e preoccupato.
A tuo avviso come si sono comportate le donne che compongono la attuale classe dirigente in Italia, dalla Marcegaglia, presidente di Confindustria, alle ministre del governo in carica?
Ognuna cerca di fare quel che può e non è sempre facile essere Davide contro Golia. Ma alcune di quelle che hanno posti di grande responsabilità potrebbero e dovrebbero fare di più. Molte delle donne che arrivano in ruoli chiave, le poche che ce la fanno, tendono ad uniformarsi agli uomini e non si battono per colleghe meritevoli. Se non siamo noi a fare squadra, ad aprire un varco in questo muro sempre più difficile da scavalcare o buttare giù, chi altro ci aspettiamo che possa farlo?
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