Legge di stabilità 2016 e servizi alla persona.

| 1 dicembre 2015 | 0 Commenti

Legge di stabilità 2016 e servizi alla persona. Qualche passo avanti sul welfare aziendale, ma ancora nulla su welfare familiare e welfare pubblico.

 

Grazie a questo documento, redatto da Roberto Cicciomessere, esperto di politiche del lavoro, membro di Pari o Dispare, ripercorriamo nel dettaglio quanto a oggi sappiamo che verrà introdotto dalla legge di stabilità del Governo Renzi sul fronte del welfare.

Il tentativo di ridisegnare un nuovo e più capillare welfare dei servizi alla persona nel nostro Paese è ben lungi dall’essere intrapreso. Qualche passo in avanti, ma ancora troppo timido. Le urgenze del resto sono note e molteplici: il nostro Paese ha bisogno di una più equa conciliazione e condivisione dei carichi familiari tra i generi, deve accelerare il passo per una maggiore e più rapida inclusione delle donne nel mercato del lavoro. Infine i trend demografici e i buchi di un welfare che non c’è, rendono del tutto evidente la necessità di un veloce adeguamento del Paese alla sempre crescente richiesta di servizi di cura e assistenza specialmente per gli anziani, ma anche per i minori.

Il testo che segue ricorda la proposta presentata nel giugno del 2014 da parlamentari di diversi schieramenti politici e da un gruppo di organizzazioni tra cui l’Istituto Sturzo e Pari o Dispare. La nostra associazione, da anni, attraverso convegni, proposte, articoli, propone in Italia l’introduzione di un sistema di servizi di cura e assistenza neutrale, attraverso dei voucher universali, ispirati al modello francese dei CESU.
Nel dettaglio:

a cura di Roberto Cicciomessere

 

L’articolo 12 della “legge di stabilità 2016”, in corso di discussione nelle Camere, contiene importanti elementi di novità per quanto riguarda le misura per facilitare la conciliazione tra lavoro e vita privata.
Infatti, semplifica introduzione di misure di welfare aziendale consentendo l’utilizzazione anche del voucher e apre alla contrattazione di alcuni servizi finora esclusi, superando una contraddizione per cui se alcuni benefit erano frutto di elargizione volontaria da parte dell’impresa erano soggetti a regimi fiscali favorevoli, mentre se frutto di accordi sindacali non erano agevolati.
Di conseguenza, il welfare aziendale non è più riservato solo alle gradi aziende, ma vi possono accedere anche le piccole utilizzando il voucher, i benefit che ricevono i lavoratori sono esenti da tasse ed è il lavoratore stesso che può decidere se il suo premio di produttività debba essere pagato in cash (con un’imposta sostitutiva del 10 per cento) oppure in welfare (totalmente esente da tasse).

Queste modifiche erano state già previste nell’articolo 4 della proposta di legge per l’istituzione del voucher universale per i servizi alla persona e alla famiglia, che è stata presentata nel giugno 2014, con lo stesso testo, al Senato della Repubblica e alla Camera dei deputati da parlamentari di molti gruppi politici .
Il nostro movimento ha contribuito alla redazione di questa proposta di legge, che s’ispira chiaramente al modello di successo dei chèque emploi service universel (CESU), introdotti in Francia nel 2005, adattandolo alle caratteristiche peculiari del welfare italiano e alle agevolazioni fiscali già esistenti a favore della famiglia e della maternità.
Tuttavia, la proposta di legge sul voucher universale è basata su tre pilastri – welfare familiare, welfare aziendale e welfare pubblico, ciascuno dei quali contribuisce in diversa misura a ridurre il costo dei servizi per la famiglia attraverso un unico titolo di credito:
1. le famiglie che acquistano a costo agevolato i servizi;
2. le imprese che erogano a costi agevolati prestazioni di welfare aziendale ai propri dipendenti o le banche in favore dei propri clienti;
3. le amministrazioni regionali e locali che erogano servizi alla persona a favore di persone bisognose e svantaggiate o servizi di conciliazione ai destinatari delle politiche del lavoro attraverso i servizi pubblici e privati del lavoro.
L’art. 12 della “legge di stabilità 2016” interviene solo sul secondo pilastro (welfare aziendale), facilitando la conciliazione tra vita e lavoro solo ai dipendenti delle aziende che introducono queste misure.
Rimane escluso il resto della popolazione che acquista con proprie risorse i servizi resi presso la propria abitazione (colf e badanti) o in strutture esterne come gli asili nido, gli spazi ricreativi e sportivi per i bambini  e i centri diurni per anziani, anche non autosufficienti.
La proposta di legge sul voucher universale prevede, infatti, agevolazioni fiscali a favore di queste famiglie, al fine di ridurre il costo dei servizi e favorire l’emersione del lavoro nero: la famiglia deve essere messa nella condizione di pagare solo una parte del prezzo di mercato legale del servizio, pari a quello del mercato nero, mentre le autorità pubbliche devono coprire la differenza fra il prezzo legale e quello in nero. Solo in questo modo si realizza il contrasto d’interessi tra la famiglia e il fornitore del servizio non regolare, consentendo l’emersione di una significativa quota del lavoro nero, com’è accaduto in Francia con i CESU.

Infatti, una ricerca effettuata dal Censis per valutare l’impatto economico, occupazionale e sulle finanze pubbliche della proposta sul voucher universale per i servizi alla persona e alla famiglia, stima i positivi effetti sociali che comporta l’introduzione del voucher: dopo cinque anni la platea di famiglie in grado di accedere ai servizi socio-assistenziali crescerà di 482 mila, in coerenza con gli accresciuti bisogni di assistenza connessi con l’invecchiamento della popolazione. I lavoratori beneficiari del welfare aziendale saliranno da 127 mila a 858 mila, con enormi vantaggi sia per i dipendenti sia per la produttività aziendale.
Si stima, infine, che l’emersione del lavoro irregolare nel periodo di messa a regime raggiungerà le 326 mila unità, mentre l’occupazione aggiuntiva è valutabile in 315 mila nuovi occupati fra diretti (assistenza domiciliare) e indiretti (settori collegati).
Di conseguenza i benefici diretti della proposta (gettito fiscale da nuova occupazione e di quella emersa, contributi sociali, Irpef, riduzione dei sussidi di disoccupazione ecc.) possono essere quantificati in circa 558 milioni di euro per l’introduzione del voucher per il welfare aziendale e in circa 3 miliardi per il voucher familiare agevolato, utilizzato sia per i servizi domestici, sia per quelli sociali non residenziali.

Di conseguenza, inviamo i deputati di questa Commissione a valutare l’opportunità di una integrazione dei tre pilastri del welfare (quello pubblico, quello privato e quello familiare), per offrire servizi migliori per la conciliazione tra lavoro e vita privata a tutta la collettività e non solo ai dipendenti, come prevede l’articolo 12 della legge di stabilità.

Una iniziativa nel senso da noi auspicato interverrebbe anche a sostegno di un settore economico – la white economy – che ha un peso molto elevato nel nostro sistema produttivo e che lo avrà ancor più nel futuro, a causa dell’invecchiamento della popolazione.
Infatti, nonostante la crisi economica, il numero complessivo degli occupati regolari nei servizi alla persona è aumentata, dal 2008 al 2014, del 53,2%, da oltre 800 mila a quasi 1,3 milioni di unità (figura 1 e tavola 1).
I servizi di cura e di assistenza alla persona non sono, infatti, comprimibili e si preferisce rinunciare ad altre spese familiari. Infatti, nello stesso periodo (2008-2014) si sono persi complessivamente in tutte le attività economiche oltre un milione di posti di lavoro (-4%).
La grande maggioranza dei lavoratori in questi settori è costituita da donne, che rappresentano una quota sul totale sempre superiore all’80% (87% nel 2009 e 84% nel 2014), tuttavia il loro numero aumenta in misura inferiore a quello degli uomini (47,5%, a fronte del 92,8% degli uomini).
Il maggiore aumento negli ultimi 7 anni si registra tra gli occupati nei lavori domestici (colf e badanti) (86,4%), seguito da quello nei servizi sociali residenziali (24%) costituiti in gran parte da residenze per anziani non autosufficienti e dai servizi sociali non residenziali (18,7%) composti da asili nido e dall’assistenza domiciliare per anziani.
Nel 2013 si registra, rispetto all’anno precedente, una netta flessione degli occupati nei servizi sociali non residenziali, accompagnata da una crescita di quelli residenziali e da una flessione dei lavoratori domestici: probabilmente alcune famiglie non erano in grado, a causa della crisi economica, di pagare le badanti e sono state costrette a trasferire gli anziani non autosufficienti nelle case di riposo.
Delimitando l’osservazione ai lavoratori domestici  sulla base dei dati dei conti economici dell’Istat, è possibile stimare la quota di lavoro regolare e non fino al 2012 (il tasso d’irregolarità nei servizi sociali residenziali e non residenziali è modesto). Complessivamente il numero di lavoratori domestici regolari e non regolari aumenta da 1,1 milioni di unità del 1999 a 1,6 milioni di unità del 2012, con una variazione del 44,7% (+484 mila unità) (figura 2). Nello stesso periodo quello dei lavoratori in nero aumenta solo del 7,1% (+57 mila unità), mentre quello dei regolari del 150,8% (+427 mila unità).
Occorre osservare che la quota dei lavoratori non regolari sul totale diminuisce costantemente dal 2007 (65,2%) al 2012 (54,5%), probabilmente a causa delle regolarizzazioni dei lavoratori immigrati, mentre la crescita del tasso d’irregolarità riprende solo nel 2011 (57,4%), a causa dell’aggravarsi della crisi economica che spinge molte famiglie a ridurre il costo dei lavoratori domestici, ricorrendo al mercato nero.
Tenuto conto dei dati dei conti economici sugli occupati regolari e non regolari come collaboratori domestici relativi al 2014 (1,6 milioni di unità), che registrano un aumento di circa 36 mila unità rispetto al 2012 (2,3%), è possibile fare una stima della loro crescita fino al 2020.
Il numero comprensivo dei lavoratori regolari e non regolari, potrebbe aumentare dal 2014 al 2020 fino a poco più di 1,8 milioni di unità (+242 mila unità) (figura 3).
L’aumento complessivo di questi lavoratori nel corso di vent’anni (dal 2000 al 2020) sarebbe del 68,4%, pari a circa 750 mila unità.

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Categorie: Lavoro e welfare

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